29 ottobre 2014.
“Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso” Primo Levi – Se questo è un uomo
29 ottobre 2014. Una data, un ricordo, una sentenza. Ogni anno, quando arriva questo maledetto giorno, riaffiorano le ferite dell’anima perchè, se è vero che le cicatrici permettono alla nostra pelle di rigenerarsi, è anche vero che alcune di esse sembra non finiscano mai di far male. Dentro.
Una strana sensazione inizia a invadere il mio stomaco e la mattina quando mi sveglio non ho bisogno di capire che giorno sia, perchè da questo segnale capisco che manca una settimana alla data dell’anniversario dell’aggressione. Si continua con l’irradiarsi del ricordo in tutta la mia testa fino a che non riesco a dormire la notte. Invece, di giorno, non riesco fisicamente a svolgere le solite attività quotidiane; mentre quella sensazione di malessere si concretizza in una tensione negativa, simile alla paura.
Anche se sono passati cinque lunghi anni, non se ne va via. Quei momenti sembrano essere indelebili nonostante le fantastiche avventure vissute, le responsabilità lavorative, i nuovi progetti che sto sviluppando giorno dopo giorno.
La ferita sul cuore si riapre inevitabilmente e la causa non è da ricercare nei flashback dettati dal ricordo visivo. No, perchè io ricordo con molta facilità i profumi e gli odori del mondo. Mi sembra ancora di sentire il profumo della pelle di mia madre o il profumo dei fiori della costa azzurra; ricordare attraverso l’olfatto è un fantastico modo per riportare delle sensazioni forti del passato nel mio presente.
Purtroppo, durante questi giorni, riaffiorano, ad ogni mio respiro, gli odori legati a quel maledetto giorno. La puzza nauseabonda della pelle impregnata di sudore, il fiato pesante che si avvicina sempre più al mio volto e l’aroma di birra e alcol che si attacca alla mia pelle.
Ci sono voluti giorni e giorni per convincermi che quella puzza non fosse più attaccata né ai miei vestiti né al mio corpo. Eppure, il ricordo di quegli odori riaffiora, in questo periodo dell’anno, puntuale come un treno ad alta velocità giapponese e impetuoso come un’onda anomala dell’oceano pacifico.
In questo momento state cercando di provare a capire quali sensazioni ho provato in quei momenti di terrore ma, vostro malgrado, vi confesso che non esiste la possibilità di immedesimarvi nella mia persona, il massimo a cui potete aspirare è lo stadio dell’empatia. Ciò che ho vissuto è talmente personale che nessuno potrà mai provare quello che mi è accaduto in quegli istanti neri, bui, oscuri.
Se il ricordo è vivo, allora la parte più oscura dentro di me deve essere contrastata ed è proprio ciò che ho provato a fare in tutti questi anni.
Dove c’è oscurità c’è luce e dove c’è una difficoltà ho imparato a scovare e riconoscere le opportunità che la vita ci offre, anche nei momenti più complessi. Questo, per me, rappresenta un punto cruciale: mi ricorda quanto io sia una donna forte, coraggiosa, che convive con uno stato di paura latente, che si presenta in un particolare periodo dell’anno, ma che sa come governarlo e riporlo nel cassetto dei ricordi. Il punto, però, è proprio questo; non se ne andrà mai quella sensazione di malessere, quella tensione, quegli odori putridi resteranno sempre aggrappati ai ripiani della struttura portante che mantiene i ricordi nella mia mente. Io, ne sono consapevole e, per questo, so che devo continuare a dimostrare a me stessa – e anche a voi – quanto sia forte, indipendente, libera. In una parola donna.
Si arriva sempre ad un punto invalicabile, dove la via è chiusa e l’onda anomala inevitabilmente ti investe e tu non puoi fare altro che nuotare per rimanere a galla. Proprio nel momento in cui ti sembra di non avere più le forze per nuotare, ecco una sporgenza da afferrare e mantenere con forza, la quale ti permette di respirare profondamente per continuare a resistere alla corrente negativa e infine prendere il volo verso la terra ferma.
Aveva proprio ragione Oriana Fallaci…“ci si dimentica sempre che un eroe è un uomo, soltanto un uomo”.
A presto,
Ivy