Amatore e professionista. Due mondi a confronto.
Oggi vi propongo una piccola riflessione sulle differenze e i punti di contatto che ci sono tra il mondo amatoriale e quello professionistico della corsa, poiché spesso il primo cerca di inseguire il secondo attraverso metodologie di allenamento sbagliate, che possono essere causa di cocenti delusioni o, peggio ancora, di evitabili infortuni.
Bisogna capire cosa vogliamo essere prima di fare qualsiasi mossa. Questo tipo di approccio vale in molte discipline e, soprattutto, nella maratona.
Per essere più chiara vi porto dei piccoli esempi che confrontano il mio approccio di allenamento (in vista della mia partecipazione alla prossima maratona di Firenze); quindi quello di un amatore – cioè una persona che ama uno sport e decide di affrontare una gara per soddisfare la sua passione – insieme all’allenamento e all’approccio di un professionista e campione della maratona, quale quello del famoso Eliud Kipchoge.
Il primo principio di allenamento è comune alle due categorie ed è rappresentato dalla pianificazione di allenamenti settimanali costanti, ma soprattutto che non portino il fisico a sforzi muscolari eccessivi, spesso scriteriati.
Qui si palesa la prima differenza di approccio tra i due mondi, infatti, molti runner amatori commettono l’errore di sovraccaricare il proprio fisico con chilometraggi eccessivi, con un piano di allenamenti poco definito e molto influenzato dalla vita lavorativa; il quale non può che rivelarsi negativo per il corpo, ma soprattutto per il livello di stress psicologico in vista della gara.
Il mondo del professionismo ci dimostra come un approccio eccessivo non sia per niente profittevole. Per esempio, il nostro Kipchoge, per preparare il nuovo primato della maratona, si è allenato come per affrontare una gara di 10.000 metri in pista.
Il Keniano ha affrontato un buon lavoro organico di sostegno senza andare a ricercare quantità industriali in fatto di chilometri.
Dal punto precedente si ricava un’altra sostanziale differenza tra l’approccio consapevole di un professionista e quello di un amatore alle prime armi, cioè: la qualità del lavoro è più importante della quantità dello stesso.
Un amatore deve essere sia costante che consapevole dei limiti del proprio corpo, oltre che allenarsi con giudizio. Solo in questo modo si riuscirà ad avere una progressione nei propri risultati sportivi, specialmente quando si parla di maratona.
Una differenza sostanziale che c’è tra il mio allenamento e quello di un professionista è la possibilità di allenarsi in un luogo che riproduca delle condizioni ambientali che possano poi rivelarsi vantaggiose nel giorno della gara.
Ogni maratona ha una storia a sé e ogni città ha percorsi differenti, quindi le condizioni ambientali sono una variabile molto complessa da gestire.
Eliud Kipchoge vive la maggior parte dell’anno in un campo di allenamento nel villaggio di Kaptagat, in Kenya, suo paese natale, che possiede una conformazione territoriale particolare e che permette agli atleti di allenarsi in condizioni ambientali mutevoli, potendo passare dal piano all’altopiano in modo naturale sui loro percorsi.
Io, in quel di Milano, alterno la pista di atletica della Canottieri Milano, alle uscite sui Navigli e alla “montagnetta” di S. Siro tra un impegno di lavoro e l’altro, cercando di seguire con attenzione il piano di allenamento del mio coach Fabio Vedana. Certamente la ricerca di condizioni ambientali differenti e mutevoli non è né naturale né semplice, ma i risultati sono comunque arrivati grazie ad una preparazione e una concentrazione importante in sede di allenamento.
Alla luce del confronto tra due mondi apparentemente agli antipodi come quello amatoriale e quello professionistico c’è un elemento che deve essere sottolineato, perchè rappresenta la chiave della riflessione: l’amatore non può e non deve costruire la sua maratona riflettendo la sua immagine in quella del professionista, ma può e deve saper fare propri i piccoli dettagli che sono presenti nel modo di allenarsi di campioni come Kipchoge; preparando prima la mente e poi allenando il fisico con costanti e bilanciati carichi di lavoro.
Io, nel frattempo, continuo a correre. Firenze si sta avvicinando e non vedo l’ora.
In fondo, “correre è la risposta”….
Ivy