Come alleno la mia resilienza
Per trovare la propria resilienza e svilupparla nel migliore dei modi bisogna partire dal significato della parola stessa, il cui uso è stato abusato più volte in questi ultimi anni.
“Resilienza: capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi / in psicologia, la capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”.
All’inizio siamo come dei giovani alberi: deboli, con poca protezione, ma più il tempo passa più le ferite che sembrano buttarci a terra ci rafforzano, creando spessi strati di corteccia.
Partiamo da questo presupposto; il principio per cui tanti elementi ci possono ferire all’inizio, ma ci fortificano sempre più nel lungo periodo se riusciamo a superare la fase più complessa; quella dell’accettazione del problema. L’unico modo, per superare l’ostacolo che si presenta davanti a noi è riuscire a metabolizzare la difficoltà rispettandola, cercando di guardarla faccia a faccia, come una nuova variabile della nostra vita.
Accettato il problema, arriva il momento di cambiare prospettiva e trovare un nuovo punto di vista, che ci permetta di avere un quadro differente della situazione. Per capire meglio questo punto, pensate alle mie difficoltà cardiache; per me all’inizio hanno avuto l’effetto di un macigno che cade all’improvviso in mezzo alla strada, ma ho saputo accettarle prima e cambiare la prospettiva poi, sino ad arrivare alla consapevolezza per cui gli ostacoli che si presentano durante il cammino della vita possono trasformarsi in nuove opportunità. Quindi, il secondo step verso la resilienza prevede la trasformazione del problema, della situazione di crisi in opportunità.
Un terzo elemento che permette di sviluppare questa capacità è rappresentato dall’uscita della persona dalla propria comfort zone. Questo non significa mollare tutte le proprie sicurezze per avventurarsi alla cieca verso il sentiero meno battuto, ma cercare di creare una situazione nuova in cui mi costringo a trovare nuove soluzioni per arrivare a ciò che desidero veramente. La resilienza viene quindi allenata anche tramite una sfida personale e una messa in discussione delle proprie certezze e convinzioni, che spesso contribuiscono all’inibizione delle capacità di reazione a situazioni avverse.
Spesso la resilienza viene chiamata in causa quando qualcuno dimostra di essere uscito da una situazione particolarmente complicata della propria vita. Io ne sono testimone diretta e molti utilizzano il concetto di resilienza come il risultato di un percorso, dimenticando che questa parola rappresenta il viaggio e non la meta. Tutto ciò che si ottiene quando si superano situazioni complesse è conseguenza della capacità di saper assorbire un urto senza sgretolarsi come la calce di un muro di una casa costruita negli anni ’50.
Il resiliente non aspetta passivamente che la tempesta passi; letteralmente non resiste. No. Il resiliente attacca il problema cercando di arrivare alla soluzione del rompicapo senza scavalcarlo, affrontandolo faccia a faccia e soprattutto chiamandolo con il suo nome. La resilienza non ammette che si nasconda la difficoltà coprendola con un nome falso, non c’è spazio per le maschere; sono ammessi solo attori senza trucco. Solo in questo modo si possono sgretolare sino alla radice i propri problemi.
Questo è ciò che sento quando si parla di resilienza. I consigli sono come delle linee immaginarie che vengono disegnate dall’accumulo delle diverse esperienze maturate durante la vita di tutti i giorni. Queste linee guida non seguono sempre la stessa direzione, ma vengono modellate a seconda dell’intenzione della persona che decide di seguirle.
Siamo linee irregolari che trovano ostacoli durante il loro percorso e per superarli decidiamo di non arrenderci ad essi. Mai.
Siate forti, siate resilienti.
Ivy