Consapevole di questo sono arrivata però sulla linea di partenza super convinta.
Ci credo! Era il mio motto, nella mia mente continuavo a ripetermi questa frase.
La notte precedente alla maratona ho fatto un sogno: mia mamma sdraiata vicino a me che mi teneva la mano, riuscivo persino a sentire il suo profumo, sembrava talmente reale da pensare che fosse vero, che la mia mamma fosse ancora viva. Mi sono svegliata con un senso di pace e di amore fortissimo. Ma soprattutto con la consapevolezza di potercela fare.
Sono partita convintissima, i primi km sono passati leggeri; ho avuto una piccola crisi al sedicesimo chilometro, gestita benissimo. Strano, molto strano, mi ripetevo. Alla mezza ho cominciato a sentire la fatica, la mia più cara amica, che si inseriva in ogni centimetro del mio corpo. La mia mente è abituata a gestirla, è la mia compagna di viaggio.
Quando i tuoi muscoli ti dicono “impossibile continuare” devi riuscire a convincerti che, invece, devi proseguire. Dal trentesimo al 42,195 metri ho combattuto con il mio corpo che urlava di fermarsi.
I crampi si insinuavano nei polpacci, la sete mi prendeva la gola, a poco a poco mi sono resa conta che il mio sogno era sfumato. Non ero più nei tempi. Dopo qualche giramento di testa, il mio fisico ha cominciato a chiedermi di ritirarsi. Ma la mia testa era lucida, mi sono aggrappata all’immagine nitida dell’incrocio delle mie dita con quella di mia mamma, il suo profumo non mi ha mai abbandonata.
Sono arrivata al traguardo distrutta, mai avuto sensazioni fisiche così brutte in una maratona, ma con una grande consapevolezza: la testa ha una forza incredibile, è potente ed è in grado di gestire il corpo.
Se ci alleniamo alla fatica, possiamo guardarla in faccia senza timore: possiamo sopportarla, attraversarla, superarla. Se si accetta, la fatica, cessa di essere tale e diventa un aspetto positivo della vita.